martedì 1 giugno 2010

IL CIELO SOPRA BERLINA


Si deve aver paura di niente, più. Di niente si deve avere paura. La paura è un niente. Il niente è la paura. Trovarsi uno. Centro della ruota personalissima. Orto coltivatello. Le mie lattughe fresche come non mai. Pur se non le bagno. Non le curo. Non mi curo. Non mi hanno mai curato questi mezzi curati che mi ronzavano. Intorno è niente. Affannoso, fastidioso, andirivieni di carrelli per la spesa al supermercato dello sconto. Sul porfido. Una tortura. Vanno e vengono come monopattini mai oleati. E' il suono canto grido tra le otto e trenta e le dieci del mattino. Poi tacciono. Solo le scorrevoli a fotocellula fischiano un po' quando passanti s'accostano distratti. Non entrano. Richiusura.
Ti prende al naso poi quell'odore di invalido, di fine corsa, tanto una parola vale l'altra. Non ha importanza se uso corsa al posto di altro. Chi vuoi che ci pensi. E' così incivile la forma del parlato che lo sforzo non vale la pena.
Forse sono io che emano traverse pvc piccate da ore e ore. O e' pannolone? Si scolora il senso di tutti e cinque. Improvvisamente ti passa pure la voglia di leggere.
Minuti tanti interminabili a fissare un solo autobloccante. Ieri mattina ho contato 27 formiche che giravano dentro il suo perimetro. Poi un colpo di vento fresco mi ha preso una guancia. Non ero da solo a respirare.
Non era mio l'odore grave.
Non sono ancora pronto, probabile.
Quello che solo due mesi fa era ancora umano, se ne stava lì a fissarmi, senza occhi. Gli era caduta la pantofola destra. Quella era poco più grande di un autobloccante. Ricaricare il sistema operativo, bootstrappare, rendersi conto. Intervenire. Rimettere la calzatura al piede. Calzino bianco immacolato. Troppo. Chissà da quanto non cammina. Annaspava con le mani chele verso le ruote della carrozzina. Come i bimbi nella culla che non sanno ancora alzare la schiena. Ma sbracciano.
Gli dava fastidio il sole.
Lo sposto.
E dentro mi prende posto tutto quello che non avrei mai voluto. Mai.
Scappo al dolore io. Lo faccio da sempre. Continuerò a farlo. I mezzi curati mai mi hanno curato.
Aveva l'ossigeno che gli entrava dritto nella trachea. Da lì il suo sibilo si confondeva con quello delle porte scorrevoli.
Non posso più piangere. E' un lusso che non mi è concesso ulteriormente.
In realtà lo faccio spesso. La scuola dura di teatro ai miei diciotto anni mi ha insegnato la non trasparenza. Estraniarsi.
Disperare senza lacrimare.
Riuscire anche a sorridere nel frattempo.
Distrarre lo specchio.
Altrimenti Brecht che ha vissuto a fare?
Professionista dell'apparenza.
Poi a casa, quando sei con te, puoi anche sbatterti le meningi al marmo del tavolo. Buttarti di corsa con i denti contro lo spigolo, a bocca aperta.
Ma lì, al cospetto del mondo assente, non è permesso.
Qualcuno dice che è una cosa strana. Molti non lo capiscono. Gli stessi uguali detrattori di clausure sante.
I non pensanti. Che se tu glielo ricordi che il Cristo loro diceva le stesse identiche cose ancora più chiare, quelli ti danno del matto deficiente bestemmiatore mortale.
Meglio tacere.
Dio ti tocca. Nel senso che te lo devi subire tutto. Mai in quello del tatto. Perché Dio è intangibile e non si sognerebbe mai di abbracciarti o di darti la mano.
Ma Dio ti spacca i denti, te li scalza, ti fonda il parietale per Lui è un tavolo di marmo.
Quello che hai a casa.
Che mai hai pensato fosse coscienza ardente. Non bisognosa d'energia altra per fiammeggiare.
E ancora mi chiedo questo fuoco dov'é?
Fammi vedere il caminetto. Una ollare. Un barbecue all'aperto. Un piccolo rogo qualsiasi.
Ma niente. Io sono cieco.
E' arrivata poi una tizia, dalla parte opposta nostra. Faccia rassegnazione in creta completamente asciutta e cotta come si deve.
Porta una borsa della spesa con poche cose. Misere. La poggia sul ventre del mio osservatore. Chiede se vuole un succo. Non risponde. Continua a guardami. Se lo porta via. Si gira e mi guarda. Continua.
Lei fa la sua strada.
Lui no è sulla mia.
Esattamente, perfettamente biunivoco.
Al momento giusto. E forse domani non lo vedrò più. Perché adesso lo ricordo gli parlai pure. Forse piangevo. Non lo so.
Glielo chiesi come mai in poco tempo così.
Mi disse che il cuore, un'operazione. Fece una faccia da lasciamo perdere e è andata così. Finì in una smorfia da sclerosi multipla.
Forse voleva sorridere.
Forse no.
Ma io non ricordo nulla di tutto questo. Io scappo al dolore. L'ho sempre fatto.
Come una comparsa veloce di Ken Russell.
E maledico gli angeli custodi.


Lucio Galluzzi

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1 commento:

  1. silenzio eniano (eno e non enya). da molto non ti producevi similmente. very very very. validamente. orecchiamente 'oh, l'ebbimo finito or ora! ma guardi! che disdegno!' degnamente. villacoramente. e dintorna.
    insomma veramenta veramenta - bella. e la politica non è mai vera - politico.

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