
PREFAZIONE SONORA [clicca]
C’era un tempo nel quale credere che il privato è politico significava ben altro da quello che oggi intendono i tutti.
Si sapeva, perché ancora puliti, che esisteva un’isola, un lembo di terra, un intimo luogo dove era possibile concepire l’animale aristotelico senza copula.
Lì stavamo in conoscenza.
Era la comunione.
Dio ne restava fuori.
Non ho mai visto ostie, benedizioni, apparizioni.
Ma lì si faceva politica. Si votava e si eleggeva. Ci governavamo e ci facevamo governare.
Eravamo cittadini.
Eravamo.
Poi è stato un veloce precipitare. Scappare. Superare confini.
Abbattere nature.
E l’animale logico, nato respirando, in atto di presenza cominciò ad essere abortito.
Si segnalavano tutte queste cose.
I cartelli erano cosmici. Impossibile non accorgersene.
Attenzione a non svegliarsi una mattina con qualche cosa da salvare, nei fori ancora aperti di una idea.
Attenzione a non ritrovarsi a raccontarsi le nostre storie di bambini nati morti.
Prima, difatti, abortivano.
Poco dopo passarono direttamente a partorire morte.
E noi tutti bravi, tutti contenti, sempre gravidi non più di vita, ma di scrollo di pesi.
Quanto fu liberatorio sentirsi leggeri, eppure con Alien dentro le viscere.
Scrollavamo il peso come ci si scrolla dopo aver pisciato.
Gocce di scorie, pezzo di carta igienica, lavarselo, asciugarlo, salvietta.
Il privato non era più politico. Era il cesso.
In quei ridotti metri quadri era costretta l’idea di allora.
Seduti sulla tazza a leggersi Linus, anche per un’ora.
Uscire e rientrare, masturbarsi perché era politico.
Scoparsi sulla lavatrice in centrifuga perché era rivoluzionario.
Fottersi da soli perché eversivo.
In tutto questo fottere privato politico, maniacale estremo, seriale, ci fottevano davvero.
E noi tutti, nessuno escluso, acconsentivamo.
Anche tu.
Inutile lavarselo.
E’ morto Deleuze, andato Guattari, la Macciocchi, Illich… sepolti in tanti chi nelle patrie non gloriose galere e altri esuli, defunti in diversi modi.
Permane in pochi il ricordo labile di Bernard-Henri Lévy.
E noi ci siamo persi, svenduti, sputtanati.
Siamo mummie tali e quali a quelli che definiamo tali.
Identici, quasi senza più il cuore.
Cioè un ECC lo rileverebbe, il miocardio, tradirebbe anche il battito, non molto regolare.
Ma noi non lo sappiamo più.
Abbiamo per lo meno, all’incirca, semi globalmente, piuttosto alienato il nostro stato umano.
Non c’entrano oppio dei popoli, scuole marxiane, madonne o deva.
Siamo colpevoli.
Criminalmente seriali.
Perché giorno dopo giorno glielo abbiamo permesso.
Ci siamo chinati.
Abbiamo goduto del masochismo non imposto.
E ora che siamo schiavi scimmiottiamo indignazione.
Doppiamente cadaveri.
Adesso il privato è di nuovo politico. Comatosi come siamo non lo abbiamo colto.
Non come prima, nel lembo, isola, intimo.
Ora il privato del tiranno esonda in tutto il suo mastodontismo.
Le sue camere da letto irrompono nelle nostre, la sua famiglia, i figli, la moglie, i tradimenti veri presunti ordinati dal KGB o dalla Stasi, Le Noemi, le ville e i festini, i potenti nudi nei parchi, le starlette in topless, le sue tre ore di sesso continuo a notte alla sua età, depresso e triste com’è deve avere gli sfoghi [sessuali] adesso che la consorte lo ha lasciato da tempo, i pennivendoli ci informano il tutto del tutto e del contrario di tutto.
Sappiamo di leggi ad personam, che i voli di stato usati per portare amici ai divertimenti non sono più reato, che le bugie eclatanti sono regola imposta e soprattutto non dobbiamo notarle.
Lui è amato profondamente sia come maschio totale che come capo supremo.
Un turbinio di ormoni e di sospiri che per forza si trasformano in consenso plebiscitario.
Conosciamo tutto del suo privato.
Non per pruderie.
Lo sappiamo perché lui stesso apre il tabernacolo sacro dei suoi segreti da pulcinella raccontandoli all’animaletto servo di turno in prima serata.
Qualche volta gli rompe anche la voce in gola.
Forse sta per piangere. E poi si riprende. Risponde a tutto.
Tutto quello che riguarda la sua sfera privata.
E ottiene tutto.
E’ questa la nuova dimensione della politica.
Il privato privatissimo slegato da ogni atto di bene pubblico è la maledetta alluvione che sta portandoci via.
Chi si permette di arginare il dissanguamento finisce male.
Epurazioni.
Censura.
Denuncia.
Cancellazione.
Soprattutto precarietà. Quella che ti tiene sospeso nel limbo il tempo giusto per demolirti e poi ti scaraventa giù dai nodi scorsoi.
Quand’è che anche se in pochi, non ha importanza il numero, ricominceremo ad amare?
A voler bene come si faceva una volta.
A credere nella carezza, nell’abbraccio.
Incondizionatamente.
Quand’è che dimostreremo che siamo stati veramente diversi, e lo siamo ancora?
Perché è questa diversità che ci può salvare.
Noi, lontani chilometri luce da questi vampiri.
Noi disarmati, senza paletti di frassino o pallottole d’argento.
Privi di esorcisti.
Senza nulla, ma con un'unica arma: l’amore.
Spazziamolo/i via.
Lucio Galluzzi
ChiareLettere Edizioni
Si sapeva, perché ancora puliti, che esisteva un’isola, un lembo di terra, un intimo luogo dove era possibile concepire l’animale aristotelico senza copula.
Lì stavamo in conoscenza.
Era la comunione.
Dio ne restava fuori.
Non ho mai visto ostie, benedizioni, apparizioni.
Ma lì si faceva politica. Si votava e si eleggeva. Ci governavamo e ci facevamo governare.
Eravamo cittadini.
Eravamo.
Poi è stato un veloce precipitare. Scappare. Superare confini.
Abbattere nature.
E l’animale logico, nato respirando, in atto di presenza cominciò ad essere abortito.
Si segnalavano tutte queste cose.
I cartelli erano cosmici. Impossibile non accorgersene.
Attenzione a non svegliarsi una mattina con qualche cosa da salvare, nei fori ancora aperti di una idea.
Attenzione a non ritrovarsi a raccontarsi le nostre storie di bambini nati morti.
Prima, difatti, abortivano.
Poco dopo passarono direttamente a partorire morte.
E noi tutti bravi, tutti contenti, sempre gravidi non più di vita, ma di scrollo di pesi.
Quanto fu liberatorio sentirsi leggeri, eppure con Alien dentro le viscere.
Scrollavamo il peso come ci si scrolla dopo aver pisciato.
Gocce di scorie, pezzo di carta igienica, lavarselo, asciugarlo, salvietta.
Il privato non era più politico. Era il cesso.
In quei ridotti metri quadri era costretta l’idea di allora.
Seduti sulla tazza a leggersi Linus, anche per un’ora.
Uscire e rientrare, masturbarsi perché era politico.
Scoparsi sulla lavatrice in centrifuga perché era rivoluzionario.
Fottersi da soli perché eversivo.
In tutto questo fottere privato politico, maniacale estremo, seriale, ci fottevano davvero.
E noi tutti, nessuno escluso, acconsentivamo.
Anche tu.
Inutile lavarselo.
E’ morto Deleuze, andato Guattari, la Macciocchi, Illich… sepolti in tanti chi nelle patrie non gloriose galere e altri esuli, defunti in diversi modi.
Permane in pochi il ricordo labile di Bernard-Henri Lévy.
E noi ci siamo persi, svenduti, sputtanati.
Siamo mummie tali e quali a quelli che definiamo tali.
Identici, quasi senza più il cuore.
Cioè un ECC lo rileverebbe, il miocardio, tradirebbe anche il battito, non molto regolare.
Ma noi non lo sappiamo più.
Abbiamo per lo meno, all’incirca, semi globalmente, piuttosto alienato il nostro stato umano.
Non c’entrano oppio dei popoli, scuole marxiane, madonne o deva.
Siamo colpevoli.
Criminalmente seriali.
Perché giorno dopo giorno glielo abbiamo permesso.
Ci siamo chinati.
Abbiamo goduto del masochismo non imposto.
E ora che siamo schiavi scimmiottiamo indignazione.
Doppiamente cadaveri.
Adesso il privato è di nuovo politico. Comatosi come siamo non lo abbiamo colto.
Non come prima, nel lembo, isola, intimo.
Ora il privato del tiranno esonda in tutto il suo mastodontismo.
Le sue camere da letto irrompono nelle nostre, la sua famiglia, i figli, la moglie, i tradimenti veri presunti ordinati dal KGB o dalla Stasi, Le Noemi, le ville e i festini, i potenti nudi nei parchi, le starlette in topless, le sue tre ore di sesso continuo a notte alla sua età, depresso e triste com’è deve avere gli sfoghi [sessuali] adesso che la consorte lo ha lasciato da tempo, i pennivendoli ci informano il tutto del tutto e del contrario di tutto.
Sappiamo di leggi ad personam, che i voli di stato usati per portare amici ai divertimenti non sono più reato, che le bugie eclatanti sono regola imposta e soprattutto non dobbiamo notarle.
Lui è amato profondamente sia come maschio totale che come capo supremo.
Un turbinio di ormoni e di sospiri che per forza si trasformano in consenso plebiscitario.
Conosciamo tutto del suo privato.
Non per pruderie.
Lo sappiamo perché lui stesso apre il tabernacolo sacro dei suoi segreti da pulcinella raccontandoli all’animaletto servo di turno in prima serata.
Qualche volta gli rompe anche la voce in gola.
Forse sta per piangere. E poi si riprende. Risponde a tutto.
Tutto quello che riguarda la sua sfera privata.
E ottiene tutto.
E’ questa la nuova dimensione della politica.
Il privato privatissimo slegato da ogni atto di bene pubblico è la maledetta alluvione che sta portandoci via.
Chi si permette di arginare il dissanguamento finisce male.
Epurazioni.
Censura.
Denuncia.
Cancellazione.
Soprattutto precarietà. Quella che ti tiene sospeso nel limbo il tempo giusto per demolirti e poi ti scaraventa giù dai nodi scorsoi.
Quand’è che anche se in pochi, non ha importanza il numero, ricominceremo ad amare?
A voler bene come si faceva una volta.
A credere nella carezza, nell’abbraccio.
Incondizionatamente.
Quand’è che dimostreremo che siamo stati veramente diversi, e lo siamo ancora?
Perché è questa diversità che ci può salvare.
Noi, lontani chilometri luce da questi vampiri.
Noi disarmati, senza paletti di frassino o pallottole d’argento.
Privi di esorcisti.
Senza nulla, ma con un'unica arma: l’amore.
Spazziamolo/i via.
Lucio Galluzzi
ChiareLettere Edizioni
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