- con tutto il rispetto per Moira Orfei -
In occasione della visita in Italia del capo di stato libico Muhammar Gheddafi, la Sezione Italiana di Amnesty International ha scritto al presidente della Repubblica, al presidente del Consiglio, ai presidenti di Camera e Senato e ai ministri degli Esteri, degli Interni e delle Pari opportunità, in vista degli incontri delle istituzioni col presidente Gheddafi, chiedendo che sia posta fine alla cooperazione poco trasparente e priva di garanzie in materia di diritti umani, che ha sinora contraddistinto le relazioni tra Italia e Libia.
Di recente, questa cooperazione ha trovato il suo culmine negativo in gravi violazioni del diritto internazionale dei diritti umani compiute dall'Italia nel Mar Mediterraneo a scapito di circa 500 migranti e richiedenti asilo, ricondotti forzatamente in Libia a prescindere da qualsiasi valutazione del loro bisogno di protezione internazionale.
Una missione di Amnesty International ha visitato la Libia tra il 15 e il 23 maggio 2009, recandosi tra l'altro presso il centro di detenzione di Misratah, dove centinaia di cittadini non libici, per lo più provenienti dall'Eritrea ma anche da Somalia, Nigeria e Mali, sono detenuti in condizioni di grave sovraffollamento. Al momento della visita, nel centro si trovavano tra le 600 e le 700 persone, a fronte di un'asserita capacità massima di 350 persone. A Misratah i detenuti sono costretti a dormire sul pavimento, i servizi sanitari sono insufficienti e non esiste alcuna forma di privacy. Il centro è sottoposto al controllo del Comitato generale popolare per la sicurezza pubblica ed è sottratto alla competenza delle autorità giudiziarie. Molte delle persone detenute al suo interno vi sono state condotte dopo essere state fermate dalle autorità libiche mentre tentavano di raggiungere l'Italia o altri paesi dell'Europa meridionale.
Amnesty International ha potuto ascoltare le testimonianze di diversi migranti detenuti, alcuni dei quali si trovano a Misratah da due anni. Diversi detenuti hanno dichiarato che le condizioni a Misratah sono migliori che in altri centri in Libia, dove essi erano stati precedentemente trattenuti.
Durante la visita in Libia, Amnesty International ha inoltre raccolto preoccupanti denunce di trattamenti discriminatori e degradanti e di maltrattamenti nei confronti di migranti originari di paesi dell'Africa subsahariana, da parte di cittadini libici e delle forze di polizia libiche.
La Libia non ha un sistema d'asilo funzionante e, nonostante una bozza di legge sull'asilo sia attualmente in discussione, durante la propria missione in Libia Amnesty International non ha ricevuto informazioni su tale testo e le autorità libiche hanno negato la presenza di rifugiati nel territorio dello stato. Le stesse autorità hanno inoltre indicato di non avere alcuna intenzione di aderire alla Convenzione di Ginevra sui rifugiati del 1951. Intanto, l'Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr) può operare a Tripoli, ma la Libia rifiuta di firmare accordi che ne riconoscano formalmente la presenza. Nel 2007 il Comitato delle Nazioni Unite sui diritti umani ha espresso preoccupazione per le denunce secondo le quali le autorità libiche avevano sistematicamente rinviato rifugiati e richiedenti asilo verso paesi dove gli stessi erano a rischio di tortura e altri maltrattamenti e per le persistenti denunce secondo cui migranti, richiedenti asilo e rifugiati arrestati e detenuti in Libia sono soggetti a torture e trattamenti crudeli, inumani e degradanti.
Le politiche di immigrazione e asilo sono da tempo al centro del dialogo tra Italia e Libia, che da parte italiana si è giovato negli ultimi 10 anni della mediazione degli onorevoli D'Alema, Fassino, Pisanu e Amato, nei loro ruoli istituzionali di ministri. La cooperazione così costruita è sfociata in un accordo di "Amicizia, partenariato e cooperazione", firmato dal presidente del Consiglio Berlusconi e dal leader libico Gheddafi a Tripoli nell'agosto 2008 e velocemente ratificato dal parlamento italiano a febbraio 2009. Questo trattato non dedica spazio alla tutela concreta dei diritti umani e costruisce le premesse politiche della cooperazione in materia di immigrazione, impegnando tra l'altro l'Italia a finanziare per il 50 per cento un sistema di controllo delle frontiere terrestri della Libia.
Un passaggio fondamentale del dialogo Italia-Libia è costituito dagli accordi tecnici conclusi a fine 2007 dall'allora ministro dell'Interno Amato, i quali dispongono il pattugliamento marittimo congiunto da parte di un nucleo operativo italo-libico, dichiaratamente a comando libico, per mezzo di navi della Guardia di Finanza fornite dall'Italia. Il 14 maggio 2009, tre motovedette della Guardia di Finanza sono state consegnate dal ministro dell'Interno Maroni al governo libico per il pattugliamento del Mediterraneo.
Tra il 7 e l'11 maggio 2009, con una decisione senza precedenti, l'Italia ha condotto forzatamente in Libia circa 500 tra migranti e richiedenti asilo, senza alcuna valutazione sul possibile bisogno di protezione internazionale degli stessi e quindi violando i propri obblighi in materia di diritto internazionale d'asilo e dei diritti umani. Il 75 per cento delle persone che arrivano in Italia via mare sono richiedenti asilo e, secondo l'Unhcr, tra le persone rinviate in Libia vi erano cittadini somali ed eritrei, bisognosi di protezione. Tra gli obblighi dell'Italia nei confronti di chiunque si trovi sottoposto alla propria giurisdizione, vi è quello di non rinviare nessuno in un paese in cui sarebbe a rischio di persecuzioni, torture e altre gravi violazioni dei diritti umani e, rispetto a chi si trovi in condizioni di pericolo in mare, c'è quello di condurlo senza indugio in un posto sicuro, ossia un luogo che presenti le caratteristiche minime per garantire l'assistenza umanitaria e un'equa valutazione delle domande di asilo. La Libia non ha queste caratteristiche e l'Italia non potrà che essere considerata responsabile per quanto avverrà alle persone ricondotte in Libia con la forza.
Nonostante le ripetute richieste sottoposte alle autorità da Amnesty International durante la propria missione in Libia, resta oscura la situazione di diversi migranti, richiedenti asilo e rifugiati rinviati in Libia dall'Italia dopo essere stati intercettati in alto mare. In Libia le persone vengono frequentemente spostate da un centro di detenzione all'altro e la registrazione di migranti, richiedenti asilo e rifugiati detenuti è altamente deficitaria, cosa che rende assai problematico il monitoraggio della situazione.
La Sezione Italiana di Amnesty International ritiene che non sia troppo tardi per invertire la rotta e che l'Italia dovrebbe cogliere questa importante occasione per inviare un segnale forte alla Libia in materia di diritti umani, piuttosto che scaricare addosso a questo paese le proprie responsabilità nei confronti dei richiedenti asilo, ipotizzando di appaltargli la gestione di questioni vitali per l'incolumità e per i diritti umani come il riconoscimento della protezione internazionale a chi fugge da persecuzioni, tortura e altri abusi gravi.
Amnesty International
a situazione dei diritti umani con il persistere di violazioni ha gettato ombre sulle migliorate relazioni diplomatiche intrattenute dalla Libia sul piano internazionale. Le libertà di espressione, associazione e riunione sono rimaste soggette a stringenti limitazioni, in un clima caratterizzato dalla repressione del dissenso e dall'essenza di ONG indipendenti a difesa dei diritti umani. Rifugiati, richiedenti asilo e migranti hanno continuato a essere detenuti a tempo indefinito e maltrattati. Almeno otto cittadini stranieri sono stati messi a morte. L'eredità delle passate violazioni dei diritti umani è rimasta inaffrontata
Contesto
L'anno ha conosciuto ulteriori miglioramenti nelle relazioni diplomatiche tra la Libia, gli Stati Uniti e Paesi europei. A settembre, la segretaria di Stato americana Condoleeza Rice si è recata in visita a Tripoli dopo che i due Stati avevano raggiunto ad agosto un accordo relativo ad alcune vertenze, tra cui l'abbattimento aereo di Lockerbie. Sempre ad agosto, il governo ha concordato un Trattato di amicizia, partnership e cooperazione con l'Italia, che comprende misure per interventi bilaterali finalizzati a combattere «la migrazione illegale». A novembre, hanno preso il via negoziati con l'UE in merito a un Accordo quadro riguardante temi come la cooperazione economica e le politiche in materia di immigrazione. Lo stesso mese il governo ha tenuto negoziati ad alto livello con la Russia in settori come la cooperazione energetica, lo sviluppo nucleare civile e la politica estera.
Il governo non ha esteso gli inviti a visitare il Paese al Relatore Speciale delle Nazioni Unite sulla tortura e al Gruppo di lavoro delle Nazioni Unite sulle detenzioni arbitrarie malgrado le richieste avanzate.
Repressione del dissenso
Il governo non ha tollerato critiche o dissenso e ha mantenuto leggi draconiane volte a dissuadere ogni tentativo in tal senso. Si sensi del codice penale e della legge 71 del 1972 sulla criminalizzazione dei partiti, l'espressione politica indipendente e l'associazionismo sono vietati e coloro che esercitano pacificamente i loro diritti alle libertà di espressione e di associazione possono incorrere nella pena di morte. Le autorità hanno continuato a intervenire contro chiunque affrontasse apertamente questioni tabù come la pessima situazione dei diritti umani in Libia o la leadership di Mu'ammar al-Gheddafi.
*Il prigioniero di coscienza Fathi el-Jahmi ha continuato a essere trattenuto presso il Centro medico di tripoli. Arrestato nel marzo 2004 dopo che aveva invocato riforme politiche e criticato il leader libico in occasione di interviste rilasciate a media internazionali, egli è stato dichiarato mentalmente incapace quando è stato condotto di fronte a un tribunale nel settembre 2006. Nel mese di marzo 2008 egli è stato esaminato da un medico indipendente per conto dell'ONG Medici per i diritti umani, con base negli Stati Uniti, che ha valutato l'assenza di segni di incapacità mentale ma ne ha riscontrato le precarie condizioni di salute e la necessità di sottoporsi a un intervento chirurgico.
*Idriss Boufayed e altri 11 sono stati processato davanti al Tribunale per la sicurezza di Stato, creato nell'agosto 2007 per processare persone accusate di attività politica non autorizzata e reati contro al sicurezza di Stato e le cui procedure non sono conformi agli standard internazionali sull'equo processo. Idriss Boufayed e altri 10 sono stati condannati a pene detentive fino a 25 anni di carcere dopo essere stati giudicati colpevoli di accuse vagamente formulate come «tentato rovesciamento del sistema politico», «diffusione di dicerie false riguardanti il regime libico» e «comunicazione con potenze nemiche». Il dodicesimo imputato è stato prosciolto. Gli imputati non hanno avuto accesso a un legale d'ufficio al di fuori dell'aula di tribunale e tutti tranne uno non hanno potuto nominare un avvocato difensore di propria scelta. Idriss Boufayed e i suoi co-accusati furono arrestati nel febbraio 2007 dopo che egli ed altri tre avevano rilasciato una dichiarazione riguardante una protesta pacifica programmata per commemorare l'uccisione di almeno 12 persone durante una manifestazione svoltasi nel febbraio 2006 a Bengasi. Altre due persone detenute all'epoca dei fatti non sono state processate: Jum'a Boufayed è stato rilasciato dalla prigione di Ain Zara il 27 maggio dopo più di un anno di detenzione in incommunicado senza processo; di Abdelrahman al-Qateewy, invece, non si è più saputo nulla. Idriss Boufayed è stato rilasciato a ottobre, e otto suoi co-imputati sono stati rilasciati a novembre. Non è stata fornita alcuna spiegazione in merito ai rilasci. I due uomini condannati assieme a loro sono rimasti in carcere.
Libertà di associazione
Il diritto alla libertà di associazione è stato gravemente limitato e il governo non ha autorizzato ONG indipendenti a favore dei diritti umani. L'unica organizzazione autorizzata a operare in materia di diritti umani è stata la Società dei diritti umani della Fondazione internazionale Gheddafi per la beneficenza e lo sviluppo (GDF), presieduta da Saif al-Islam al-Gheddafi, figlio di Mu'ammar al-Gheddafi. A luglio, la GDF ha lanciato la "chiamata al-Gheddafi", una iniziativa che incoraggiava la gente a fornire informazioni e denunce riguardanti violazioni dei diritti umani.
*A marzo, un gruppo di avvocati, giornalisti e scrittori hanno presentato domanda di registrazione per una nuova ONG, il Centro per la democrazia, che si prefiggeva di «diffondere i valori democratici, i diritti umani e lo Stato di diritto in Libia», richiesta che è stata in seguito abbandonata. Secondo il presidente del comitato fondatore della stessa, ciò è avvenuto perché le autorità avevano opposto parere negativo ai 12 nomi dei fondatori dell'organizzazione e a causa di un attacco a Dhow Al Mansouri, il quale presiedeva il comitato fondatore dell'Associazione dei magistrati per i diritti umani all'interno del Centro per la democrazia. Egli è stato rapito e aggredito a giugno da tre aggressori non identificati i quali lo hanno ammonito a non dar corso alla creazione dell'ONG.
Controterrore e sicurezza
Ad aprile, la GDF ha annunciato che 90 membri del Gruppo combattente islamico libico erano stati rilasciati dal carcere in seguito a negoziati guidati dalla GDF stessa con i leader del gruppo. La GDF ha dichiarato che si trattava di un terzo dei membri del gruppo.
Le autorità non hanno rivelato informazioni riguardanti due cittadini libici, Abdesalam Safrani e Abu Sufian Ibrahim Ahmed Hamuda, i quali furono detenuti al loro rimpatrio dalla custodia statunitense a Guantánamo Bay, rispettivamente nel dicembre 2006 e settembre 2007. L'assenza di informazioni a riguardo ha fatto temere per la loro incolumità e quella di altri libici che potrebbero essere rimpatriati in circostanze analoghe. Ameno altri sette cittadini libici continuavano a essere trattenuto dalle autorità statunitensi a Guantánamo Bay.
Impunità
Le autorità non hanno provveduto ad affrontare i persistente modello di impunità per i responsabili di gravi violazioni dei diritti umani. Non sono state rese disponibili informazioni riguardanti le indagini sugli eventi occorsi nel 1996 nella prigione di Abu Salim a Tripoli, in cui, stando alle accuse, furono uccisi centinaia di prigionieri. La GDF ha annunciato che un rapporto preliminare che stabiliva le responsabilità penali e legali dell'episodio sarebbe stato presentato alle autorità giudiziarie, ma non ha fornito alcuna data. A giugno, è stato riportato che il tribunale di Bengasi nord aveva ordinato alle autorità di rivelare la sorte di circa 30 prigionieri che si teme siano morti in detenzione durante gli eventi di Abu Salim, ma non sono state fornite ulteriori informazioni. Alcune fonti suggeriscono che le autorità avevano concordato di corrispondere risarcimenti economici a circa 35 famiglie dei prigionieri morti in cambio del loro consenso a non richiedere rimedi giudiziari.
Le autorità non hanno intrapreso iniziative per affrontare l'eredità delle gravi violazioni dei diritti umani commesse in anni precedenti, ovvero negli anni Settanta, Ottanta e Novanta, compresa la sparizione forzata di centinaia di critici e oppositori del governo. Si teme che molti di loro siano deceduti o siano stati uccisi in custodia.
Le autorità non hanno inoltre provveduto a indagare propriamente un decesso in detenzione avvenuto in circostanze sospette nel corso dell'anno.
*A maggio, stando alle fonti, Mohammed Adel Abu-Ali è deceduto in custodia in seguito alla sua espulsione dalla Svezia avvenuta in precedenza lo stesso mese. Egli era stato arrestato al suo arrivo in Libia. Le autorità hanno dichiarato che si era suicidato; un'inchiesta condotta dal ministero svedese degli Affari Interni ha concluso che era stato impossibile stabilire le cause del decesso.
Rifugiati, richiedenti asilo e migranti
Sono pervenuti persistenti rapporti di tortura e altri maltrattamenti di migranti, rifugiati e richiedenti asilo in stato di detenzione; a questi ultimi non è stata fornita protezione, come richiesto dal diritto internazionale sui migranti. Il 15 gennaio, le autorità hanno annunciato l'intenzione di espellere tutti i «migranti illegali», e hanno conseguentemente condotto espulsioni si massa di ghanesi, maliani, nigeriani e cittadini di altri Paesi. Almeno 700 eritrei, tra uomini, donne e bambini sono stati detenuti ed erano a rischio di rimpatrio forzato malgrado i timori che li avrebbero visti esposti a gravi violazioni dei diritti umani in Eritrea.
*Il 21 giugno, le autorità hanno informato circa 230 cittadini eritrei trattenuti in un centro di detenzione di Misratah, 200 km a est di Tripoli, che sarebbero stati trasportati in aereo in Italia più tardi quello stesso giorno per essere reinsediati, aggiungendo di prepararsi per la visita medica e il trasporto verso l'aeroporto. Tuttavia, ciò è parso essere un espediente e che le autorità intendessero invece rimpatriarli forzatamente in Eritrea. A fine anno non si era a conoscenza di alcun eritreo espulso, apparentemente perché era intervenuto l'UNHCR. Si ritiene che molti fossero fuggiti dall'Eritrea per cercare rifugio all'estero.
Missioni e rapporti di Amnesty International
Le autorità non hanno permesso ad Amnesty International di visitare il Paese.
Amnesty International, rapporto annuale 2009
Approfondimenti
Idriss Boufayed, 50 anni, prigioniero di coscienza adottato da Amnesty International, è stato rilasciato l'8 ottobre 2008 per motivi di salute. Era stato arrestato il 16 febbraio 2007, a 24 ore dallo svolgimento di una manifestazione pacifica che aveva promosso insieme ad altri oppositori. Detenuto in isolamento fino al 24 giugno dello stesso anno, era stato processato e condannato a 25 anni di carcere per "tentativo di rovesciare il sistema politico" e "contatti con potenze nemiche". Nel maggio 2008 gli è stato diagnosticato un cancro ai polmoni.
Amnesty International ha chiesto oggi all'Unione europea (Ue) di premere sulla Libia affinché siano riviste le condanne a morte di cinque infermiere bulgare e un medico palestinese, giudicati colpevoli di aver infettato centinaia di bambini col virus dell'Hiv in un ospedale di Bengazi.
Amnesty International, che si oppone alla pena di morte per ragioni di principio, ha espresso preoccupazioni anche per la natura del processo, che ha ritenuto viziato sin dall'inizio. Nel febbraio 2004, gli imputati raccontarono a una missione dell'organizzazione che erano stati costretti a confessare dopo essere stati torturati con scariche elettriche, percossi e tenuti appesi per le braccia.
"L'Ue ha una responsabilità diretta e deve essere molto ferma in questo caso" - ha dichiarato Dick Oosting, direttore dell'Ufficio di Amnesty International presso l'Ue. "Un sistema giudiziario che impone la pena di morte al termine di un processo discutibile, rafforza le nostre preoccupazioni per l'impazienza con cui l'Ue vuole cooperare con la Libia nella lotta contro l'immigrazione irregolare".
In una lettera inviata oggi ai ministri degli Esteri dell'Unione europea (Ue), Amnesty International ha affermato che le relazioni con la Libia devono tener conto delle gravi e perduranti preoccupazioni per lo stato dei diritti umani in questo paese. I ministri stanno infatti per conferire alla Commissione europea il mandato per intensificare le relazioni con la Libia.
La Sezione Italiana di Amnesty International ha fatto pervenire copia della lettera alla Farnesina e a Palazzo Chigi.
Già a luglio, Amnesty International aveva fatto notare come il Memorandum d'intesa tra Ue e Libia, siglato all'indomani del rilascio delle infermiere bulgare e del medico palestinese che rischiavano l'esecuzione, non contenesse alcun riferimento ai principi internazionali in materia di diritti umani.
"L'Ue deve resistere alla tentazione di abbassare i propri standard e le proprie richieste per il fatto che la vicenda dei sei operatori sanitari è terminata bene. Se c'è una lezione da apprendere da quel caso, è proprio che i diritti umani devono essere alla base di ogni accordo con la Libia" - ha dichiarato Dick Oosting, direttore dell'ufficio di Amnesty International presso l'Ue.
La situazione dei diritti umani in Libia rimane grave. Ogni mese, Amnesty International riceve informazioni su nuovi casi di giornalisti e dissidenti cui, in assenza di attenzione mediatica e pressioni politiche internazionali, viene negato il diritto a una procedura giudiziaria equa.
A preoccupare fortemente Amnesty International è la cooperazione tra Ue e Libia nel contesto della "immigrazione irregolare". La Libia, ricorda ancora una volta l'organizzazione per i diritti umani, non è Stato parte della Convenzione sui rifugiati del 1951 e l'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati non può operare liberamente nel paese.
La legge libica non contiene alcuna norma che consenta ai richiedenti asilo politico di sottoporre alle autorità il proprio caso; le condizioni di detenzione dei "migranti irregolari" sono ritenute deplorevoli e si registrano regolarmente espulsioni di massa di migranti e richiedenti asilo, senza la minima attenzione alla protezione di cui hanno bisogno.
"Le violazioni che si verificano in Libia sono così clamorose che dovrebbero spingere l'Ue a modificare l'approccio mostrato nel Memorandum, che ignora di fatto la grave situazione dei diritti umani nel paese" - ha aggiunto Oosting.
Amnesty International pertanto chiede ai ministri degli Affari esteri di garantire che ogni futuro accordo con la Libia faccia esplicito riferimento alle garanzie sul rispetto dei diritti umani e li invita a non affidare alla Commissione europea il mandato di negoziare con la Libia, se la previsione di tali garanzie non verrà tenuta in debita considerazione.
15.10.2007
Le associazioni ed enti di tutela del diritto d'asilo esprimono profonda preoccupazione in merito alle dichiarazioni rilasciate dal Governo di Tripoli attraverso un comunicato stampa con il quale è stato annunciato che tutti gli immigrati illegali, presenti sul territorio nazionale saranno espulsi senza eccezioni. Si tratterebbe, secondo una stima delle autorità libiche, di 2 milioni di persone, tra cui numerosi richiedenti asilo e rifugiati, provenienti in maggioranza dal Corno d'Africa, donne e minori. La condizione dei migranti irregolari, arrestati o detenuti in Libia, denunciata da diverse agenzie umanitarie, e confermate dalle testimonianze degli stranieri che giungono in Italia, è allarmante per ciò che riguarda il trattamento nei centri di detenzione per migranti, particolarmente duro, e per le frequenti violenze a cui i migranti sono sottoposti. Inoltre, preoccupano le condizioni di migliaia di minori che si trovano ad altissimo rischio di violenze ed abusi, privi di qualsiasi tipo di tutela specifica.
Il ministero dell'Interno Amato ha stipulato il 29 dicembre scorso un accordo per un pattugliamento marittimo congiunto col ministro degli Esteri libico Abdurrahman Mohamed Shalgam. L'accordo, che rientra tra le misure di contrasto degli arrivi irregolari via mare in provenienza dalla Libia, prevede anche il trasferimento di risorse economiche al Governo di Tripoli.
In mancanza di un sistema di garanzie e di controlli sulla sorte effettiva delle persone intercettate in mare e restituite alle autorità libiche, gli accordi di collaborazione, il cui contenuto e i cui oneri di spesa non sono comunque mai stati resi noti, né sono stati discussi in Parlamento chiamano direttamente in causa gravi responsabilità dell'Italia, in relazione alle violazioni dei diritti umani fondamentali che in territorio libico possono essere commesse a danno dei migranti riportati in Libia a seguito delle operazioni di pattugliamento navale e successivamente deportati verso i paesi di origine.
Per questo, chiediamo:
• Al Governo italiano e all'Unione Europea di fare immediate pressioni sulla Libia affinché non attui l'annunciato programma di deportazioni di massa.
• Al Governo italiano di rendere noto il contenuto degli accordi ad oggi stipulati con la Libia nel settore dell'immigrazione, e i relativi costi che l'Italia ha sostenuto o che intende sostenere.
• Al Governo italiano di sospendere gli attuali accordi in ragione della evidente assoluta mancanza di garanzie sul rispetto dei diritti dei migranti in Libia.
• Al Governo italiano di rivedere la partecipazione dell'Italia al programma Frontex, che rischia di avere un impatto negativo sull'accesso alla protezione in Europa e di favorire, anche implicitamente, deportazioni di massa dalla Libia di migranti e richiedenti asilo verso aree a rischio.
• Al Governo italiano e all'Unione Europea di adoperarsi, di concerto con l'ACNUR e le associazioni di tutela dell'asilo, per un rafforzamento delle misure di protezione dei rifugiati comunque presenti in Libia.
Firmatari, ASGI, ARCI, ICS, Centro Astalli, CIR, Senza Confine, Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia, Save The Children, Amnesty International - Sezione Italiana.
18.01.2008
Da ottobre del 2004 a ottobre del 2005, almeno 2.778 migranti - ma probabilmente molti di più - sono stati rimandati in Libia poche ore dopo il loro arrivo a Lampedusa, senza avere avuto accesso a metodi appropriati di identificazione né alla procedura di asilo, e dopo essere stati scelti in tutta fretta sulla base della loro nazionalità presunta. In questo libro, Amnesty International sintetizza un anno di mobilitazione contro queste deportazioni: una grave violazione del principio di non-refoulement (non-respingimento) dei rifugiati e richiedenti asilo contro la quale si sono schierate molte altre organizzazioni non governative, l'Unhcr e il Parlamento Europeo. Amnesty International cerca di fare luce sugli accordi fra l'Italia e Libia, risalenti al 2000, il cui contenuto è tuttora segreto, ed espone la preoccupante situazione dei diritti umani in Libia. L'associazione denuncia, inoltre, anche la situazione complessivamente preoccupante dei Centri di permanenza temporanea, la mancata assistenza legale e le condizioni di detenzione.
"Nonostante gli appelli provenienti da autorevoli organismi, tra cui l'Alto commissariato Onu per i rifugiati, e le numerose prese di posizione dell'associazionismo e della società civile del nostro paese, l'Italia ha proseguito con la politica di ricondurre in Libia le persone soccorse nel Mediterraneo.
La settimana scorsa, all'emergere delle prime allarmanti notizie, Amnesty International aveva chiesto all'Italia di non giocare con le vite umane e, assieme alle maggiori organizzazioni umanitarie e di tutela dei rifugiati, aveva rivolto una richiesta urgente di spiegazioni al ministro dell'Interno Roberto Maroni.
Invece di fornire una risposta, chiarendo quali fossero le condizioni e l'identità delle persone ricondotte in Libia, paese che non ha una procedura di asilo e che non offre alcuna protezione ai rifugiati, il ministro Maroni, secondo quanto riportato dagli organi di informazione, ha rivendicato nel corso del fine settimana questa politica, che appare il doloroso culmine di una cooperazione con la Libia del tutto incondizionata in materia di diritti umani, condotta da figure istituzionali di spicco dei governi succedutisi negli ultimi anni.
È più che mai urgente che l'Italia si rimetta in linea con il diritto internazionale sui diritti umani, a partire dal rispetto del principio di non refoulement (non respingimento) contenuto nella Convenzione di Ginevra del 1951, che vieta di rinviare "in qualsiasi modo" gli esseri umani verso territori in cui sarebbero a rischio di persecuzione.
Prendere una decisione prima che una qualsiasi procedura di accertamento dello status individuale abbia luogo è una prassi che mette a rischio i richiedenti asilo e si pone in netto contrasto con questo principio. Le centinaia di persone ricondotte in Libia dall'Italia vanno incontro a una sorte incerta e le poche informazioni disponibili sulla loro identità, età e condizioni di salute non fanno che accrescere l'allarme.
Impedire ai migranti che arrivano via mare l'accesso al diritto di asilo non offre peraltro alcuna soluzione chiave in materia di politica dell'immigrazione e produce, nell'immediato, un solo risultato: allontanare queste persone dalla nostra vista e portare al di fuori dello spazio europeo i loro diritti umani. Fino a quando le autorità italiane saranno coinvolte direttamente in atti di questo tipo, risulta difficile immaginarle estranee sotto il profilo della responsabilità."
11.05.2008
Domani, martedì 3 febbraio, il Senato della Repubblica riprenderà l'esame di diversi aspetti della futura legislazione in materia di immigrazione e asilo che, secondo la Sezione Italiana di Amnesty International, potrebbero avere forti ripercussioni in tema di diritti umani.
Si tratta del disegno di legge cosiddetto sulla "sicurezza" (ddl n.733), parte dell'omonimo pacchetto normativo varato dal governo Berlusconi nel maggio 2008 e anticipato in diversi dei suoi contenuti dal governo precedente, e del disegno di legge di ratifica del trattato di amicizia, partenariato e cooperazione tra Italia e Libia (ddl n.1333), punto di arrivo di un lungo percorso diplomatico scarsamente trasparente e poco attento al tema dei diritti.
Il disegno di legge sulla "sicurezza" contiene restrizioni di varia natura che, se approvate, colpirebbero molti aspetti della vita quotidiana di migranti, richiedenti asilo e rifugiati. Tra le novità, sono previsti l'introduzione del reato di ingresso irregolare e il prolungamento fino a 18 mesi dei termini massimi di detenzione in un Centro di identificazione e espulsione (Cie), attualmente di 60 giorni.
Come la Sezione Italiana di Amnesty International ha già ricordato, la previsione di una sanzione penale per l'ingresso irregolare costituisce un metodo di contrasto la cui funzionalità è tutta da dimostrare e, d'altro canto, può dare origine a specifiche violazioni dei diritti umani, soprattutto se inserita in un complessivo abbassamento delle garanzie.
Il termine massimo di 18 mesi per la detenzione dei migranti in attesa di espulsione appare sproporzionato ed eccessivo e può essere fonte di violazioni dei diritti umani relative alla legittimità e alle condizioni della stessa detenzione, come la situazione attuale a Lampedusa sta purtroppo mostrando.
Per quanto riguarda il trattato bilaterale tra Italia e Libia, concluso nell'agosto scorso e ora all'esame del Senato per l'autorizzazione alla ratifica, la sua applicazione potrebbe contribuire a mettere a repentaglio la vita e i diritti dei migranti e dei richiedenti asilo che si trovano in Libia o che lì potrebbero essere ricacciati proprio grazie alla cooperazione tra i due paesi e all'ingente contributo economico dell'Italia alle autorità di Tripoli.
La Sezione Italiana di Amnesty International, insieme ad altre Organizzazioni non governative, ha chiesto al Parlamento di non autorizzare la ratifica del trattato senza l'introduzione di specifiche garanzie: in particolare, una condizione che subordini chiaramente la cooperazione dell'Italia al rispetto dei diritti umani da parte della Libia e l'introduzione di strumenti di monitoraggio indipendenti dell'attuazione del trattato.
La Sezione Italiana di Amnesty International rivolge un forte appello all'Assemblea di Palazzo Madama affinché mostri attenzione verso i diritti umani nell'operare le importanti scelte su cui è chiamata a pronunciarsi in questi giorni.
02.02.2009
Condanne a morte eseguita in Libia nel 2008: (conosciute) 8.
APPELLO ALL’UE PER GARANTIRE LA PROTEZIONE
In anticipo sull’incontro dei Ministri della Giustizia e dell’Interno dell’UE del 4-5 giugno, l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati António Guterres rivolge un appello agli Stati membri dell’UE affinché le misure di controllo in tema di immigrazione non mettano a repentaglio i diritti fondamentali di richiedenti asilo e rifugiati. In una lettera indirizzata la scorsa settimana alla Presidenza Ceca dell’UE, Guterres ha espresso preoccupazione sulla situazione riguardante le persone intercettate nel Mar Mediterraneo e le relative risposte dei governi, incluso quello italiano.
Acnur - 02.06.2009
giugno 2007
EMERGENZA MEDITERRANEO, L’UNHCR RIBADISCE L’OBBLIGO DI SALVARE VITE IN MARE
L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) esprime grande preoccupazione per la mancanza di un impegno forte ed uniforme da parte degli stati rivieraschi del Mediterraneo nell’ambito della ricerca e soccorso in mare e nel permettere lo sbarco immediato delle persone tratte in salvo da imbarcazioni impegnate in attività di pesca. A causa di ciò, nelle ultime settimane molte imbarcazioni precarie o alla deriva con a bordo un numero elevato di persone che tentavano di raggiungere l’Europa sono state ignorate o lasciate in balia delle onde, e alcuni capitani non hanno onorato sia i loro obblighi dettati del diritto marittimo che l’antica tradizione del salvataggio di persone in difficoltà in mare.
L’UNHCR è consapevole delle difficoltà dei diversi paesi mediterranei nel far fronte ai ripetuti arrivi di gruppi misti di migranti, richiedenti asilo e rifugiati, ma sottolinea come il principio dell’assistenza alle persone in pericolo in mare dovrebbe sempre essere prioritario.
L’Alto Commissariato è particolarmente preoccupato circa la sorte di almeno 53 persone, la maggior parte delle quali di origine eritrea, che risultano disperse da più di una settimana nelle acque tra Malta e la Libia, nonostante gli sforzi di ricerca della Marina Militare italiana e della Guardia Costiera italiane. In base a quanto successivamente riportato da un sito eritreo, il gruppo potrebbe trovarsi in Libia ed ora l’Agenzia è in contatto con le autorità libiche al fine di rintracciare queste persone. I contatti non hanno avuto per ora alcun esito.
Inoltre, ha suscitato particolare allarme la vicenda dei 27 africani, aggrappati per tre giorni ad una gabbia per tonni trainata da un rimorchiatore maltese e soccorsi infine lo scorso 26 maggio dalla nave ‘Orione’ della Marina Militare.
Un terzo episodio preoccupante si è verificato il 25 maggio, quando la Guardia Costiera italiana ha tratto in salvo 52 persone, tra cui un bambino e sette donne, che erano state avvistate da un velivolo maltese che non aveva però lanciato l’allarme.
L’UNHCR esprime apprezzamento per l’immediata risposta umanitaria delle forze marittime italiane e degli equipaggi di due rimorchiatori, uno italiano e l’altro spagnolo, che hanno salvato persone in difficoltà nel mar Mediterraneo negli ultimi giorni. In questo contesto, l’UNHCR si appella a tutti gli stati rivieraschi affinché adempiano ai loro obblighi internazionali per quanto riguarda il diritto marittimo.
L’UNHCR chiede inoltre ai governi di rafforzare il coordinamento e la cooperazione nelle operazioni di soccorso per far sì che simili episodi non si ripetano. L’UNHCR chiede in particolare al governo maltese di ratificare i recenti emendamenti alle convenzioni marittime - la Convenzione sulla ricerca e soccorso in mare del 1979 (SAR) e la Convenzione internazionale per la sicurezza della vita in mare del 1974 (SOLAS) - che mirano ad affiancare l’obbligo per gli stati di cooperare nelle operazioni di ricerca a quello dei capitani delle imbarcazioni di fornire assistenza in mare. Malta è uno dei pochi paesi a non aver sottoscritto questi emendamenti.
Alla luce di questi gravi episodi, l’UNHCR esorta la Commissione europea ad intraprendere ulteriori azioni per riaffermare e delineare la responsabilità degli stati membri di salvare vite in mare e permettere lo sbarco di chi viene soccorso.
01.06.2007
Stupri e torture, migranti al massacro in Libia
Scritto il 08/5/09 • nella Categoria: segnalazioni
«Li hanno mandati al massacro. Li uccideranno, uccideranno anche i loro bambini. Gli italiani non devono permettere tutto questo. In Libia ci hanno torturate, picchiate, stuprate, trattate come schiave per mesi. Meglio finire in fondo al mare. Morire nel deserto. Ma in Libia no». Hanno le lacrime agli occhi le donne nigeriane, etiopi, somale, le “fortunate” che sono arrivate a Lampedusa nelle settimane scorse e quelle reduci dal mercantile turco Pinar. Le ha intervistate Francesco Viviano per “Repubblica”, dopo che quelle donne hanno saputo che oltre 200 disgraziati come loro erano stati raccolti in mare dalle motovedette italiane e rispediti «nell’inferno libico», dove sono sbarcati il 7 maggio. Tra di loro anche 41 donne. Alcuni hanno gravi ustioni, altri sintomi di disidratazione. «Ma la “malattia” più grave - scrive Viviano, da Lampedusa - è quella di essere stati riportati in Libia». Da dove i profighi «erano fuggiti dopo essere stati violentati e torturati. Non solo le donne, ma anche gli uomini».
I visi di chi invece si è salvato ed è a Lampedusa «raccontano una tragedia universale», dice il reporter di “Repubblica”, che parla di ferite sul corpo e tracce di sigarette spente
sulle braccia o sulla faccia dai trafficanti di essere umani. Storie terribili, che non dimenticheranno mai. «Come quella che racconta Florence, nigeriana, arrivata a Lampedusa qualche mese fa con una bambina di pochissimi giorni. L’ha battezzata nella chiesa di Lampedusa e l’ha chiamata “Sharon”, ma quel giorno i suoi occhi, nerissimi, e splendenti come due cocci di ossidiana, erano tristi. Quella bambina non aveva un padre e non l’avrà mai».
«Mi hanno violentata ripetutamente in tre o quattro», racconta Florence. «Anche se ero sfinita e gridavo pietà loro continuavano e sono rimasta incinta. Non so chi sia il padre di Sharon, voglio soltanto dimenticare e chiedo a Dio di farla vivere in pace». Accanto a Florence, c’è una ragazza somala. Anche lei, annota Viviano, ha subito le pene dell’inferno. «Quando ho lasciato il mio villaggio ho impiegato quattro mesi per arrivare al confine libico, e lì ci hanno vendute ai trafficanti e ai poliziotti libici. Ci hanno messo dentro dei container, la sera venivano a prenderci, una ad una e ci violentavano. Non potevamo fare nulla, soltanto pregare perché quell’incubo finisse». Raccontano il loro peregrinare nel deserto in balia di poliziotti e trafficanti. «Ci chiedevano sempre denaro, ma non avevamo più nulla. Ma loro continuavano, ci tenevano legate per giorni e giorni, sperando di ottenere altro denaro».
Il racconto s’interrompe spesso, dice Viviano: le donne piangono ricordando quei giorni, quei mesi, dentro i capannoni nel deserto, vicino alle spiagge, nella speranza che un giorno o l’altro potessero partire. E ricordano un loro cugino, un ragazzo di 17 anni, che è diventato matto per le sevizie che ha subito e per i colpi di bastone che i poliziotti libici gli avevano sferrato sulla testa. «È ancora lì, in Libia, è diventato pazzo. Lo trattano come uno schiavo, gli fanno fare i lavori più umilianti. Gira per le strade come un fantasma. La sua colpa era quella di essere nero, di chiamarsi Abramo e di essere “israelita”. Lo hanno picchiato a sangue sulla testa, lo hanno anche stuprato. Quel ragazzo non ha più vita, gli hanno tolto anche l’anima. Preghiamo per lui. Non perché viva, ma perché muoia presto, perché, finalmente, possa trovare la pace».
Le settimane, i mesi, trascorsi nelle “prigioni” libiche allestite vicino alla costa di Zuwara, non le dimenticheranno mai. «Molte di noi rimanevano incinte, ma anche in quelle condizioni ci violentavamo, non ci davano pace. Molti hanno tentato di suicidarsi, aspettavano la notte per non farsi vedere, poi prendevano una corda, un lenzuolo, qualunque cosa per potersi impiccare. Non so se era meglio essere vivi o morti. Adesso che siamo in Italia siamo più tranquille, ma non posso non stare male pensando che molte altre donne e uomini nelle nostre stesse condizioni siano state salvate in mare e poi rispedite in quell’inferno, non è giusto, non è umano, non si può dormire pensando ad una cosa del genere. Perché lo avete fatto?».
(Francesco Viviano, “Li avete mandati al massacro, in quei lager stupri e torture”, “La Repubblica”, 8 maggio 2009, www.repubblica.it/2009/04/sezioni/cronaca/immigrati-6/reduci-pinar/reduci-pinar.html).
TORTURES AGAINST MIGRANTS - Shocking reportage by Francesco Viviano (”La Repubblica”), that met in Lampedusa some migrants from Lybia: «A terrible, ordinary story of torture and sexual violence by libyan policemen on men and women: why Italian authorites send back to Libya the Africans that are excaping from that hell?» (info. www.repubblica.it/2009/04/sezioni/cronaca/immigrati-6/reduci-pinar/reduci-pinar.html).
DIRITTI-LIBIA: I migranti coinvolti in un circolo vizioso di deportazioni
Srabani Roy
NEW YORK, 14 settembre 2006 (IPS) - Secondo un rapporto di Human Rights Watch (HRW) pubblicato martedì scorso, il governo della Libia sottopone regolarmente i migranti, i richiedenti asilo e i rifugiati - in particolare quelli provenienti dall’Africa sub-sahariana - a gravi abusi dei diritti umani, che includono percosse, arresti arbitrari, rimpatri coatti e, in certi casi, la tortura.
Il documento di 135 pagine, “Arginare il flusso: abusi contro i migranti, i richiedenti asilo e i rifugiati”, è il terzo di una serie di rapporti di HRW sui diritti e le condizioni umane, civili e politiche in Libia. Lo studio, condotto tra aprile e maggio 2005, si basa essenzialmente sulle interviste a 56 migranti, così come a funzionari dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), sia in Libia che in Italia.
Il gruppo ha scoperto che tra il 2003 e il 2005, il governo libanese ha arrestato arbitrariamente stranieri senza documenti, maltrattandoli mentre erano detenuti, e costringendoli a tornare nei loro paesi d’origine, dove rischiavano di essere perseguitati o torturati. Durante questo periodo, secondo i dati ufficiali del governo del Libano menzionati nel rapporto, sarebbero stati rimpatriati circa 145.000 stranieri.
“Abbiamo individuato un problema gravissimo”, ha detto all’IPS Sarah Leah Whitson, direttrice esecutiva della divisione di HRW per Medio Oriente e Nord Africa a New York. “Moltissime persone con cui abbiamo parlato ci hanno raccontato questo”.
La ricerca dedica inoltre un’ampia sezione alla posizione di Unione europea (Ue) e Italia riguardo agli stranieri senza documenti che dalla Libia varcano i loro confini: HRW ha scoperto che nel loro sforzo per arrestare il flusso di rifugiati e immigrati senza documenti, sia l’Ue che l’Italia hanno sistematicamente rinviato questi migranti in Libia, che a sua volta sembra li abbia rispediti in alcuni casi ai loro paesi d’origine, dove corrono il rischio di abusi e persecuzioni.
“L’Unione europea sta lavorando con la Libia per fermare queste persone prima che raggiungano l’Europa, invece di aiutarle a trovare la protezione di cui hanno bisogno”, ha sostenuto Bill Frelick, direttore delle politiche per i rifugiati di HRW.
Il problema è particolarmente grave in Italia, che vede i maggiori flussi di migranti provenienti dalla Libia. Human Rights Watch ha registrato che l’Italia, tra il 2004 e il 2005, avrebbe rispedito circa 3.000 stranieri in Libia.
Secondo il rapporto, il “governo italiano attua una politica di detenzione coatta per i richiedenti asilo e i migranti senza documenti, ed è coinvolta in espulsioni collettive verso la Libia, in violazione degli obblighi di asilo e di rispetto dei diritti umani dell’Italia”.
Il problema principale, tuttavia, è che la Libia non ha al momento una legge sull’asilo, e non è firmataria della Convenzione internazionale del 1951 sullo status dei rifugiati. Lo studio riferisce che negli ultimi dieci anni, centinaia di migliaia di persone sarebbero arrivate in Libia dall’Africa sub-sahariana.
Secondo le statistiche governative, in Libia nel 2005 c’erano più di 1,2 milioni di stranieri senza documenti. Il governo stima che ogni anno entrano nel paese tra i 75.000 e i 100.000 stranieri legali e illegali.
Molti di essi hanno lasciato il proprio paese per ragioni economiche, ma quanto più l’Africa sub-sahariana rimane impantanata nel conflitto, tante più sono le persone che partono per sfuggire alla persecuzione o alla guerra.
“La Libia deve fare di più”, commenta Whitson. “Il problema peggiorerà. Tutti si aspettano che l’afflusso dall’Africa sub-sahariana aumenterà”.
Una volta raggiunta la Libia, i migranti devono affrontare più stretti controlli d’immigrazione, detenzioni e deportazioni, sostiene HRW. I migranti intervistati da HRW hanno riferito un problema persistente di abusi fisici al momento dell’arresto. Gli stranieri hanno anche parlato di abusi da parte delle forze di sicurezza e delle deplorevoli condizioni dei centri di detenzione.
In tre casi, i testimoni hanno raccontato a HRW che gli abusi fisici, come le percosse, hanno provocato la morte di uno degli stranieri. I tre intervistati hanno poi spiegato a HRW come i funzionari della sicurezza minacciassero le detenute donne di violenza sessuale. Hanno poi riferito che, in quanto stranieri senza documenti in Libia, non possono avere accesso all'assistenza legale e ricevono solo informazioni limitate sull’eventuale deportazione. Molti stranieri non sono consapevoli dei loro diritti o dei procedimenti necessari per presentare richiesta d’asilo.
“Il governo libanese dice di non deportare rifugiati”, dice Frelick. “Ma senza una legge o una procedura sull’asilo, come può un individuo che teme la persecuzione presentare una richiesta?”.
Il rapporto cita episodi di violenza da parte della polizia e violazioni nei regolari processi, come la tortura o processi ingiusti. Molte delle persone intervistate da HRW non sapevano nemmeno della presenza di un Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR) con sede a Tripoli: un ufficio, sostiene il documento, che non ha tuttavia nessun rapporto di lavoro formale con il governo libanese.
Molti stranieri che entrano in Libia da sud-est, dal Ciad o dal Sudan, se catturati, vengono tenuti nel centro di detenzione di Kufra. Secondo HRW, i detenuti intervistati qui hanno riferito ripetutamente di episodi di abusi da parte delle guardie e delle misere condizioni del centro. Parlando con diversi rifugiati, che in seguito hanno ricevuto asilo in Italia, questi avrebbero raccontato di come “le guardie malmenassero regolarmente i detenuti”, si legge nel rapporto di HRW. In un caso, le guardie avrebbero “percosso [un rifugiato eritreo] ripetutamente con fili elettrici e una frusta”.
Il governo libanese sembra abbia riferito che gli arresti di stranieri senza documenti sono necessari per mantenere la legge e l’ordine. I funzionari hanno poi commentato a HRW che la Libia non offre asilo perché altrimenti gli stranieri affluirebbero “come locuste”.
Nonostante HRW non abbia avuto accesso a uno dei principali centri di detenzione, sull’isola di Lampedusa in Italia, alcuni testimoni hanno descritto analoghe condizioni di scarsa igiene e di abusi da parte delle guardie.
L’Italia dovrebbe attenersi alle leggi e ai requisiti sui diritti umani sia internazionali che europei. Secondo HRW, l’Italia dovrebbe garantire una “certa tutela” nel caso di espulsione di un individuo dal paese. Ciò dovrebbe prevedere l’accesso all’UNHCR, sostegno legale, interpreti adeguati e un giudice che confermi l’ordine di espulsione. Tuttavia, lo studio sostiene che molte delle persone espulse da Lampedusa non hanno accesso a questi diritti.
Quest’anno, il governo italiano ha cominciato a consentire l’accesso delle organizzazioni internazionali al centro di Lampedusa. Con il governo di Romano Prodi, l'Italia ha garantito che non saranno più predisposte espulsioni di massa verso paesi che non hanno firmato la Convezione di Ginevra, tra cui la Libia.
“Siamo sicuri che non li deporteranno”, osserva Whitson, evidentemente entusiasta di questa “mossa positiva” del governo italiano.
Libia, quattro cristiani sotto tortura
RIPOLI (Libia) - Da sette settimane quattro cristiani sono detenuti in un carcere di Tripoli e vengono ripetutamente torturati dall'intelligence libica per essersi convertiti dall'islam.
Ai parenti è stato proibito visitare i prigionieri, sui quali vengono fatte continue "pressioni" fisiche e psicologiche affinché rivelino i nomi degli altri convertiti.
Jonathan Racho, responsabile per l'Africa dell'Icc (International Christian Concern), ha dichiarato che l'organizzazione ha chiesto alle autorità militari libiche di interrompere le torture e la detenzione dei quattro cristiani.
"La Libia deve rispettare i diritti, che i suoi cittadini hanno per legge, di professare liberamente il proprio credo e di non essere torturati. Chiediamo in particolare al capo del governo libico e attuale presidente dell'Unione Africana, Muammar Gheddafi, di liberare i prigionieri per dimostrare che il suo paese rispetti i diritti umani".
La detenzione e le torture sui cristiani stanno influenzando i rapporti diplomatici tra la comunità internazionale e la Libia, che in questo modo ha violato ancora una volta la Carta dei diritti fondamentali dell'uomo. [je]
Fonte: ICC (International Christian Concern)
www.persecution.org
www.evangelici.netpassineldeserto
Lucio Galluzzi
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