venerdì 3 dicembre 2010

METASTATICO

IL PREMIER, LA CADUTA DEGLI DEI E I CANCRI IN CASA


La "proiezione" è un meccanismo di difesa di base, uno tra i più usati dai bambini, adolescenti e poi da adulti non risolti.
"Non sono stato io è stato lui", "io non l'ho picchiato, giocavamo, e mi ha chiesto di dargli dei pugni", "non ho rubato niente, ho visto lei che prendeva quella cosa…"
Di norma il proiettivo "risponde" quasi sempre per primo, se inserito in una piccola comunità: famiglia, gruppo gioco, squadra, classe… la prima gallina che canta, appunto, ha fatto poi l'uovo.
La proiezione non è bugia semplice. Il bambino che non si risolve usa questo meccanismo, quando capisce che è stato scoperto, lo fa non "deludere" l'adulto di riferimento o il capo-branco.
Come per il periodo del turpiloquio, anche quello proiettivo è auto risolutivo in una crescita armonica.
Persiste, invece, nei soggetti che non vengono aiutati a prendere coscienza dei propri errori, in minori "educati" in famiglie iperprotettive che gli dicono sempre sì e lo difendono anche a torto, nei nodi affettivi malati in situazioni di vario disagio genitoriale, sociale e personale.
La non auto risoluzione dei meccanismi di difesa di base semplici, con l'entrata nell'età adolescenziale, prepuberale e adulta, porta il soggetto all'elaborazione e complicazione di tali abitudini che vengono affinate, sostituite, stratificate sempre di più con altre strategie tipiche del malessere identificativo.
Mitomania, ciclotimia, cleptomania, "depressioni", disturbi della personalità, manie di persecuzione, delirio d'onnipotenza, falso complesso di superiorità… entrano ed escono dalle porte lasciate aperte dai dolori non affrontati che, ormai diventati conflitto insanabile, plasmano il soggetto in disarmonie sempre più gravi, fino a portarlo alla certezza, solo sua, del "io sto bene, sono tutti gli altri a essere malati e mi vogliono male."
Alice Miller nella "Pedagogia nera, la persecuzione del bambino" dedica un capitolo intero alla nascita della personalità dittatoriale analizzando pezzo dopo pezzo l'infanzia e l'adolescenza di Adolf Hitler.
Ancora più efficace è "In quelle tenebre" di Gitta Sereny: gerarchi nazisti e follie dei "superuomini" del Terzo Reich raccontate e svelate da chi le ha vissute in prima persona, e non dalla parte delle vittime.
A ben guardare, le personalità disturbate che in passato hanno preso il potere e quelle che oggi sono a capo di governi malati, hanno tutte matrici evolutive comuni di partenza: figure materne fagocitanti o inesistenti, padri deboli e assenti dal processo educativo, oppure al contrario assillanti in militarismi ossessivi e compulsi, sessualità represse, cattivi maestri, solitudini mai colmate, segreti inconfessabili.
Non è un caso se per esempio Ahmadinejad, così antisemita e negazionista, in realtà abbia origini ebraiche. Suo padre emigrò dalle campagne dell'Iran a Tehran e lì pagò perché il nome di famiglia Sabourjian, in farsi "tintore di stoffe" il lavoro che faceva da generazioni, fosse cambiato in quello attuale. La famiglia Sabourjian era ebrea praticante.
Lo stesso Adolf Hitler, quando senti l'odore del potere fece distruggere le prove del suo passato, mettendo a fuoco uffici d'anagrafe, facendo uccidere impiegati che sapevano e lo stesso fratello: non poteva sopportare che il "popolo ariano" sapesse che sua madre era una ebrea al servizio di un ricco signore, suo padre, che non lo riconobbe mai come figlio.
E da lì in poi il delirio totale: una mezza calzetta d'uomo, nano, nosofobo, narciso clinico, necrofilo, impotente e monorchico, criptochecca, morfinomane, fallito negli affetti diventa il terrore di morte per milioni di "diversi" da lui, che poi erano lui medesimo che doveva negarsi a se stesso.
Strane storie quelle dei dittatori. Gente penosa, piccola, che ama circondarsi di imbecilli, ricattabili, avanzi di galera, personaggi dalla fedina penale lurida, ruffiani e troie.

Perché la società pulita e civile con figuri del genere non si accompagna.
Dittatura e Civiltà sono due mondi contrapposti.
Abissi incolmabili separano Arte e Cultura dai regimi totalitari.
Ma quello che più colpisce nella biografia di queste menti perverse è l'amore che hanno per le persone mediocri, squallide, ignave, incapaci di decisioni autonome, adoranti il Capo e pronte appena sentono odor di "caduta degli dei" a trasformasi in avvoltoi,sputando nel piatto da dove hanno mangiato a piene fauci fino a poche ore prima.
E il premier italiano pensa ancora che i suoi "nemici" siano i comunisti, certa sinistra, la magistratura, i giornalisti veri che lo raccontano per come in realtà egli è. Non vuole capacitarsi che ha allevato serpi velenosissime nel suo seno e ora, che per l'appunto stanno sentendo il puzzo della disfatta, lo accoltellano alle spalle, rivelando di tutto e di più.
E' amarissima la sorte dei dittatori, soprattutto in età avanzata.
Loro che incuranti di sentimenti e amore, per sesso e ore di pagata giovinezza, svendono la propria famiglia, gli affetti veri, i figli, le mogli. Restano soli.
Frequentano quella solitudine che è fatta di malattia, sonni perduti, mai una carezza vera, tutto un mondo artificiale dove un "ti voglio bene" costa migliaia di euro e nessuno, ma proprio più nessuno che ti guardi negli occhi.
Così, l'uomo del vincere, perde.
Pezzo dopo pezzo sfrantumano da lui gli stucchi della facciata e si rivela il crollo.
Svenimenti in pubblico, cancro alla prostata, iniezioni di prostaglandine per le erezioni, addormentamenti in pubblico, narcosi in Parlamento e alle Ambasciate USA, ernie da ridurre, tendiniti, menisco offeso, telefonate sbagliate, incidenti diplomatici, depressioni, problemi cardiaci e bypass impiantati, una gamba fessa, coloriti verdognoli e sorrisi che ormai sono solo più smorfie di preoccupante bile in salita encefalica.
Lo aveva detto Veronica Lario prima di lasciarlo: "è un uomo malato, ho chiesto in tutti i modi ai suoi amici più cari di aiutarlo… ma niente".
Quegli amici più cari, le gole profonde di oggi.
E ancora non ci crede il premier, vaneggia di complotto internazionale, di servizi contro di lui… e non sa più cosa inventarsi per rigettare la realtà
Tu quoque, Bruti, fili mi!


Lucio Galluzzi

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